Tribunale di Sorveglianza
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Glossario
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Affidamento in prova al servizio sociale
E’ la più ampia tra le misure alternative alla detenzione ed è regolato dall’art. 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354 “Norme sull’ordinamento penitenziario”. Viene concesso dal Tribunale di sorveglianza e contempla la fuoriuscita dal (ovvero il non ingresso nel) circuito penitenziario: il condannato può così scontare la pena fuori dal carcere, nel rispetto di programmi e prescrizioni, “mettendo alla prova” il proprio reinserimento nella vita sociale con l’aiuto dell’apposito servizio sociale del Ministero della giustizia, chiamato Ufficio esecuzione penale esterna (Uepe:vedi). Possono essere affidati in prova al servizio sociale i condannati la cui pena detentiva (o residuo di essa) non superi i tre anni. L’affidamento in prova può essere concesso se il comportamento del condannato e l’osservazione della sua personalità effettuata da operatori specializzati permettono di ritenere tale misura alternativa utile alla sua rieducazione e al suo reinserimento sociale. Occorre inoltre che l’affidato abbia un domicilio (l’abitazione propria o di famiglia o di persone o comunità disposte a ospitarlo) e un lavoro. La domanda di affidamento in prova va indirizzata al magistrato di sorveglianza che può, raccolte le necessarie informazioni, concederla oppure no in via provvisoria e trasmettere in ogni caso gli atti al Tribunale di sorveglianza per la decisione definitiva, che sarà presa entro quarantacinque giorni. L’affidato in prova potrà lavorare ma dovrà rispettare alcune prescrizioni riguardanti la dimora, la libertà di movimento (orari, tragitti), il divieto di frequentare certi tipi di persone e di locali. Sarà seguito e dovrà tenere regolari contatti con l’Uepe, che riferirà al magistrato di sorveglianza. In caso di violazione delle prescrizioni, l’affidamento può essere revocato e il condannato completerà in carcere l’espiazione della pena.E’ previsto l’affidamento in prova “in casi particolari” qualora il condannato sia persona dipendente da alcool o sostanze stupefacenti (vedi Tossicodipendenza).
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Affidamento in prova “in casi particolari”
Vedi Affidamento in prova al servizio sociale e Tossicodipendenza
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Aids
Vedi Tossicodipendenza
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Alcooldipendenza
Vedi Affidamento in prova al servizio sociale e Tossicodipendenza
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Amnistia
L’amnistia estingue il reato e fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie relative ai reati per i quali è stata concessa (art. 151 c.p. e 672 c.p.p.). Vedi anche grazia e indulto.
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Arresti domiciliari
E’ una misura cautelare personale coercitiva (vedi). Viene applicata agli indagati o agli imputati al posto della custodia cautelare in carcere (detta anche carcerazione preventiva), nel periodo delle indagini e del procedimento giudiziario. La loro durata massima dipende dalla gravità del reato contestato e dalla fase del procedimento (artt. 284 e 303 c.p.p.). Gli arresti domiciliari come misura cautelare non vanno confusi con la detenzione domiciliare (vedi), che è invece una misura alternativa alla detenzione (vedi) e può essere concessa dal momento in cui sono terminate la fasi del giudizio, cioè a condanna definitiva. Se l’imputato agli arresti domiciliari cautelari viene dichiarato colpevole, con sentenza non più impugnabile, l’ordine di carcerazione può essere sospeso e il condannato può essere lasciato a scontare la pena agli arresti domiciliari, dove già si trova (art. 656, c. 10, c.p.p.). Al momento in cui la sentenza diviene definitiva, gli atti passano al Tribunale di sorveglianza, che provvederà all’eventuale applicazione di una delle misure alternative alla detenzione, per esempio la detenzione domiciliare. Contestualmente l’interessato passa sotto la giurisdizione del magistrato di sorveglianza che amministrerà le prescrizioni a cui deve attenersi e approverà o meno le sue richieste.
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Articolo 4bis Ordinamento penitenziario
Si tratta dell’articolo della legge 26 luglio 1975, n. 354, “Norme sull’ordinamento penitenziario” che vieta di concedere benefici a condannati per delitti di particolare gravità.
E’ previsto che l’assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dalla legge penitenziaria non possano essere concessi ai condannati per:- delitti commessi per finalità di terrorismo o eversione;
- associazione di tipo mafioso (art.416bisc.p.);
- riduzione in schiavitù e tratta di persone (art.600, 601, 602 c.p.);
- sequestro di persona (art.630c.p.);
- associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi (art. 291 quater D.P.R. 43/1973);
- associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/1990);
- qualsiasi delitto commesso al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso;
Solo nel caso in cui non sussistano collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, è previsto che l’assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione possano essere concessi ai condannati per:- omicidio(art.575c.p.);
- reati connessi alla prostituzione e minorile e alla pedo-pornografia;
- reati sessuali;
- rapina aggravata e estorsione aggravata (art.6283°ce6292°cc.p.);
- contrabbando di tabacchi aggravato (art.291ter D.P.R.43/1973);
- produzione, traffico e detenzione illeciti di ingenti quantità di sostanze stupefacenti o psicotrope (artt.73 e 80 2°c D.P.R.309/1990);
- associazione per delinquere realizzata allo scopo di commettere taluni gravi reati (es.: riduzione in schiavitù, tratta di persone, reati sessuali, reati finalizzati all’ingresso illegale di stranieri nel territorio nazionale).
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Art. 21 – Lavoro all’esterno del carcere
L’ammissione al lavoro esterno (art. 21 legge 26 luglio 1975, n. 354, “Norme sull’ordinamento penitenziario”) è una delle forme di alleggerimento della condizione del detenuto. Di solito è preceduta dall’assegnazione a lavori interni al penitenziario e dalla concessione di permessi premio. Poi è spesso seguita – se il condannato rispetta le prescrizioni impostegli e quando maturano i termini di legge – dalla concessione di una misura alternativa. Possono essere ammessi al lavoro esterno tutti i detenuti e gli internati. Alcune restrizioni sono previste per i condannati per reati gravi, per alcuni dei quali l’ammissione al lavoro esterno può essere disposta dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena. L’art. 21 si applica anche nei casi in cui il detenuto o l’internato sia ammesso a frequentare corsi di formazione professionale all’esterno del carcere.
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Colloqui telefonici
Sono regolati dall’art. 39 del D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, “Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà”. Il direttore del carcere può autorizzare i condannati a telefonare una volta alla settimana ai congiunti o conviventi (due volte al mese se è applicato l’art. 4 bis – vedi) o, in caso di necessità, a altre persone. La durata del colloquio telefonico, a spese del detenuto, non deve superare i dieci minuti. L’autorizzazione è concessa dal magistrato di sorveglianza qualora il detenuto abbia presentato appello contro una sentenza di condanna (cioè quando la condanna non è definitiva) e può prevedere l’ascolto della telefonata o la sua registrazione, obbligatoria nel caso dei reati previsti dall’art. 4 bis. L’autorizzazione deve essere richiesta dal detenuto con istanza scritta, specificando generalità, grado di parentela e numero telefonico della persona con cui intende parlare. Le generalità e il grado di parentela devono essere documentate da apposita certificazione anagrafica; l’utenza telefonica, fissa e non mobile, deve essere comprovata allegando una bolletta-fattura della società che gestisce il servizio di telecomunicazioni. La decisione sulla richiesta deve essere motivata. L’autorizzazione a comunicare per telefono con l’avvocato di fiducia è sempre concessa.
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Condizionale
Vedi sospensione condizionale della pena e liberazione condizionale.
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Cssa (ora Uepe)
Centro servizi sociali per adulti, ora Ufficio esecuzione penale esterna. Vedi la sezione dedicata all’Uepe in questo sito.
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Detenzione domiciliare
E’ una delle misure alternative alla detenzione (vedi) che consentono al condannato di scontare fuori dal carcere la pena detentiva, o parte di essa.
E’ stata introdotta nel 1975 con la legge sull’ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975 n. 354) ed è stata ampliata nell' applicabilità dalla legge 26 novembre 2010, n. 199, e dal decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211 (vedi, di seguito, Detenzione domiciliare "ultimi 18 mesi").
La detenzione domiciliare è regolata dall’art. 47 ter della legge 354/1975, e consiste nella concessione al condannato di espiare la pena nella propria abitazione o in un luogo di cura, assistenza e accoglienza, se:
- donna incinta (vedi anche rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena);
- madre di figli di età inferiore ad anni uno (vedi anche rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena);
- persona affetta da Aids o da altra malattia particolarmente grave, non compatibile con lo stato di detenzione in carcere (vedi anche rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena);
- persona di oltre settanta anni di età (purché non dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, o recidivo reiterato, o sex-offender);
- deve scontare una pena o un residuo di pena inferiore a due anni (a meno che si tratti di condanna per reati particolarmente gravi, secondo l’art. 4 bis [vedi] della legge sull’ordinamento penitenziario o sia stata applicata la recidiva);
- deve scontare una pena o un residuo di pena inferiore a quattro anni ed è:
- donna incinta o madre con figli conviventi di età inferiore a dieci anni;
- padre con figli di età inferiore a dieci anni senza la madre;
- persona in condizioni di salute particolarmente gravi;
- persona di età superiore a sessant’anni parzialmente inabile;
- persona minore di ventuno anni con esigenze di salute, studio, lavoro o famiglia;
- madre con figli di età inferiore a dieci anni, dopo aver espiato almeno un terzo della pena (o quindici anni in caso di ergastolo) e se non sussiste pericolo di commissione di altri delitti (art. 47 quinquies,“Detenzione domiciliare speciale”).
I condannati recidivi reiterati (art. 99, 4° comma c.p.: già recidivi, che commettono un altro delitto) possono ottenere la detenzione domiciliare solo se la pena da scontare non è superiore a tre anni.
La detenzione domiciliare può essere concessa, su istanza dell’interessato, dal Tribunale di Sorveglianza oppure, in via provvisoria fino alla decisione del Tribunale, dal magistrato di sorveglianza. E’ regolata da prescrizioni imposte dal Tribunale di sorveglianza (o dal magistrato, in via provvisoria), è soggetta ai controlli delle forze dell’ordine e può essere revocata (nel qual caso il condannato torna a espiare la pena in carcere e non può più richiedere altra misura alternativa per tre anni).
Eventuali richieste del condannato vanno indirizzate al magistrato di sorveglianza, che potrà rilasciare l’autorizzazione ad assentarsi dal luogo di detenzione in caso “non possa provvedere altrimenti alle sue indispensabili esigenze di vita” e solo “per il tempo strettamente necessario per provvedere alle suddette esigenze ovvero per esercitare un’attività lavorativa” (art. 284 c.p.p.).
La detenzione domiciliare non va confusa con gli arresti domiciliari (vedi).
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Detenzione domiciliare "ultimi 18 mesi"
La legge 26 novembre 2010, n. 199, “Disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a un anno”, ha ampliato i criteri di concessione della misura alternativa della detenzione domiciliare. Un anno dopo, il decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, "Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri", ha elevato a 18 mesi il limite di pena entro cui la detenzione domiciliare può essere richiesta. I provvedimenti consentono ai condannati con pena detentiva (anche residua) non superiore a diciotto mesi, di scontarla presso la propria abitazione o un altro luogo, pubblico o privato, che lo accolga. Tale possibilità, prevista al fine di poter attuare il “piano penitenziario” e la riforma delle misure alternative alla detenzione, rimarrà in vigore fino al 31 dicembre 2013.
Non si applica:
- ai condannati per i reati particolarmente gravi (quelli previsti dall’art. 4 bis della legge sull’ordinamento penitenziario, vedi);
- ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza (artt. 102, 105 e 108 del codice penale);
- ai detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare (art. 14 bis della legge sull’ordinamento penitenziario);
- qualora vi sia la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga o commettere altri delitti;
- qualora il condannato non abbia un domicilio idoneo alla sorveglianza e alla tutela delle persone offese dal reato commesso.
Nel caso la condanna a diciotto mesi – o meno – di reclusione sia comminata a una persona in libertà, è lo stesso pubblico ministero che, al momento della condanna, ne sospende l’esecuzione, accerta l’esistenza e l’idoneità dell’alloggio o, se si tratta di persona tossicodipendente o alcool dipendente, verifica la documentazione medica e il programma di recupero, trasmettendo quindi gli atti al magistrato di sorveglianza per la concessione della detenzione domiciliare e l’imposizione delle opportune prescrizioni. Nel caso invece che il condannato, con pena da scontare fino a diciotto mesi, sia in carcere, potrà presentare una richiesta al magistrato di sorveglianza. In ogni caso – anche senza la richiesta dell’interessato – la direzione dell’istituto di pena preparerà per ciascun detenuto che rientra nelle condizioni previste dalla legge una relazione sul comportamento tenuto durante la detenzione e sull’idoneità dell’alloggio, oppure raccoglierà la documentazione medica e terapeutica, qualora si tratti di persona dipendente da droga o alcool intenzionata a seguire un programma di cura. Il magistrato di sorveglianza provvederà con un’ordinanza, imponendo le opportune prescrizioni. La legge 199-2010, in caso di evasione dalla detenzione domiciliare (art. 385 codice penale), inasprisce le pene portandole da un minimo di un anno di reclusione a un massimo di tre (fino a cinque se vi sono violenza o effrazione, fino a sei se con armi).
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Espulsione dello straniero irregolarmente in Italia come sanzione alternativa alla detenzione
Il Testo unico sull’immigrazione (Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286, “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, come modificato dall’art. 15 della legge 30 luglio 2002, n.189, “Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo”) prevede all’art. 16 l’espulsione dello straniero, cioè del cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea, come sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione. Il giudice, se la sentenza di condanna nei confronti di un cittadino straniero irregolarmente presente in Italia ha stabilito una pena non superiore ai due anni di detenzione (e a meno che si tratti di delitti particolarmente gravi, dettagliatamente elencati nell’art. 407, comma 2 lettera “a” del c.p.p.), può sostituire la detenzione con l’espulsione dal territorio italiano. In questo caso il cittadino straniero non potrà rientrare in Italia per almeno cinque anni. Se il cittadino straniero irregolarmente presente in Italia è detenuto e se deve scontare – o gli resta da scontare – una pena detentiva inferiore ai due anni (a meno che si tratti di delitti particolarmente gravi), deve essere espulso. In questo caso l’espulsione è disposta dal magistrato di sorveglianza, che decide con decreto motivato, al quale lo straniero può opporsi, appellandosi al Tribunale di sorveglianza. L’espulsione non si può disporre nel caso lo straniero possa essere perseguitato, nel suo Paese, per motivi razziali, religiosi, politici, o per condizioni sociali o personali, o se vi è il rischio che sia rinviato in un altro Paese dove sarebbe perseguitato. Non si può disporre neppure verso i cittadini stranieri minori di diciotto anni, o in possesso di carta di soggiorno italiana, o conviventi con parenti o coniuge italiani, o donne in stato di gravidanza o con figli nati da meno di sei mesi. Per lo straniero irregolarmente presente in Italia, anche se non ha commesso altri reati, l’art. 13 del D.L.vo 286/1998 prevede che il prefetto disponga l’espulsione amministrativa (ad esclusione dei casi elencati nel capoverso precedente).
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Espulsione dello straniero regolarmente in Italia, a pena espiata, come misura di sicurezza.
Qualora ne sia accertata la pericolosità sociale, lo straniero (cioè il cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea) regolarmente presente sul territorio italiano, condannato per reati relativi alla produzione, al traffico e alla detenzione illegale di sostanze stupefacenti, all’agevolazione dell’uso di dette sostanze o all’istigazione all’uso da parte di un minore, terminata la pena deve essere espulso dallo Stato. Lo prevede l’art. 86 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti”. Il provvedimento di espulsione può essere adottato anche nei confronti dello straniero regolarmente in Italia, condannato per uno degli altri reati previsti dalla stessa legge. L’espulsione dello straniero dal territorio nazionale è ordinata dal giudice anche quando lo straniero è condannato a una pena detentiva superiore ai dieci anni (art. 235 c.p.). Tuttavia, tale misura di sicurezza (come tutte le altre) non potrà eseguirsi se non previo riesame della pericolosità sociale da parte del magistrato di sorveglianza in occasione dell’approssimarsi del fine pena.
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Gratuito patrocinio
Si tratta di un beneficio previsto dall'articolo 24 della Costituzione che consiste nel riconoscimento dell'assistenza legale gratuita, per promuovere un giudizio o per difendersi davanti al giudice e anche per i procedimenti di sorveglianza, alle persone meno abbienti, non in grado di sostenerne le spese. Al pagamento delle spese (avvocati, consulenti e investigatori autorizzati) provvede lo Stato. Il patrocinio a spese dello Stato è regolato dalla Parte terza (artt. 74 – 141) del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Gli artt. 76, 77 e 92 stabiliscono il limite di reddito Irpef (risultante dall’ultima dichiarazione) sotto il quale può essere richiesto il patrocinio gratuito. Tale limite si riferisce alla somma dei redditi di tutti i componenti della famiglia del richiedente (a meno che la causa veda il richiedente contro un familiare), è aggiornato ogni due anni e ammonta (ultima revisione al novembre 2012) a 10.766,33 euro, più 1.032,91 euro per ogni familiare convivente.
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Grazia
La grazia condona, in tutto o in parte, la pena inflitta o la commuta in un’altra pena stabilita dalla legge (art.174 c.p. e 681 c.p.p.). E’ un provvedimento d’indulgenza a carattere individuale, mentre l’indulto è a carattere generale. La domanda di grazia, diretta al Presidente della Repubblica tramite il ministro di Grazia e giustizia, è sottoscritta dal condannato o da un suo congiunto o avvocato. Se il condannato è detenuto o internato, va presentata al magistrato di sorveglianza che la trasmette al ministro della giustizia con il proprio parere motivato.(Vedi anche amnistia e indulto).
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Indulto
L’indulto condona, in tutto o in parte, la pena inflitta o la commuta in un’altra pena stabilita dalla legge (art. 174 c.p. e 672 c.p.p.). Viene applicato direttamente dal giudice che ha emesso la sentenza di condanna. Nel caso la sentenza preveda l’applicazione di misure di sicurezza, le eventuali modifiche conseguenti all’indulto sono di competenza del magistrato di sorveglianza. E’ un provvedimento d’indulgenza a carattere generale, mentre la grazia è a carattere individuale. Vedi anche amnistia e grazia.
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Internato
E’ la persona sottoposta a misure di sicurezza detentive (vedi).
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Istituti per l'esecuzione delle misure di sicurezza
Gli istituti per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive sono le colonie agricole, le case di lavoro, le case di cura e custodia e gli ospedali psichiatrici giudiziari (art. 62 legge 26 luglio 1975, n. 354, ordinamento penitenziario).
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Istituto penitenziario
Comunemente chiamato carcere, è il luogo chiuso e isolato dalla società, destinato ad accogliere coloro che sono in attesa di giudizio (casa circondariale) o già definitivamente condannati (casa di reclusione o, nel caso di pene inferiori ad anni cinque, case circondariali). Gli istituti penitenziari fanno capo al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, istituito presso il ministero della Giustizia.
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Lavoro all’esterno del carcere
Vedi art.21.
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Lavoro sostitutivo
Il “lavoro sostitutivo” è stato introdotto dall’art. 105 della legge 689/1981 (cosiddetta “depenalizzazione”). Prevede di convertire in lavoro non retribuito a favore della collettività la sanzione pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condannato. Il lavoro può essere svolto presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, o presso enti, organizzazioni o corpi di assistenza, di istruzione, di protezione civile e di tutela dell'ambiente naturale o di incremento del patrimonio forestale, previa stipulazione di speciali convenzioni da parte del Ministero della giustizia, che può delegare il magistrato di sorveglianza.
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Liberazione anticipata
Al condannato a pena detentiva che abbia dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione è concessa una detrazione di quarantacinque giorni per ogni semestre di pena scontata. La liberazione anticipata viene richiesta dal condannato e concessa dal magistrato di sorveglianza qualora ve ne siano i presupposti (la partecipazione all’opera di rieducazione, che presuppone la regolarità della condotta). Si tratta di un riconoscimento dell’impegno del condannato, non propriamente di una misura alternativa alla detenzione, sebbene l’art. 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”, che regola la liberazione anticipata, si trovi all’interno del Capo VI “Misure alternative alla detenzione”. Anche gli affidati in prova al servizio sociale (vedi affidamento in prova al servizio sociale) e gli affidati in casi particolari (vedi tossicodipendenza) possono ottenere questo beneficio quando diano prova di un loro concreto recupero sociale.
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Liberazione condizionale
Il Tribunale di sorveglianza può concedere la liberazione condizionale al condannato (art. 176 c.p. e art. 682 c.p.p.) che ha scontato almeno trenta mesi e comunque almeno metà della pena, qualora la pena che rimane da scontare sia inferiore a cinque anni. Occorre inoltre che il condannato, nel periodo trascorso in carcere, abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento. La liberazione condizionale viene revocata in caso di altra condanna o di mancato rispetto delle prescrizioni.
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Libertà controllata
E’ una delle sanzioni sostitutive (vedi) di pene detentive brevi previste dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, “Depenalizzazione e modifiche al sistema penale”, artt. 53 e seguenti (in particolare art.56).La libertà controllata può essere concessa dal giudice se la condanna ha comminato un pena detentiva inferiore a un anno. Un giorno di pena detentiva equivale, per la determinazione della durata della sanzione sostitutiva, a due giorni di libertà controllata. La libertà controllata comporta in ogni caso: il divieto di allontanarsi dal comune di residenza (salvo specifiche autorizzazioni); l’obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno nel locale ufficio di pubblica sicurezza o stazione dei carabinieri; il divieto di detenere armi, munizioni ed esplosivi; la sospensione della patente di guida (a meno che non sia necessaria per lavorare); il ritiro del passaporto e di altri documenti validi per l’espatrio; l’obbligo di presentare a ogni richiesta delle forze dell’ordine l’ordinanza di concessione della libertà controllata, con le relative prescrizioni. Il magistrato di sorveglianza può disporre che il libero controllato partecipi a interventi idonei al suo reinserimento sociale.
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Misure alternative alla detenzione
Sono misure introdotte con la legge di riforma penitenziaria del 26 luglio 1975 n. 354, la cosiddetta “legge Gozzini”, e consentono al soggetto che ha subito una condanna di scontare, in tutto o in parte, la pena detentiva fuori dal carcere. In questo modo si cerca di facilitare il reinserimento del condannato nella società civile sottraendolo all'ambiente carcerario. Le misure alternative alla detenzione si applicano esclusivamente ai detenuti definitivi (cioè con sentenza non più impugnabile) e sono: l'affidamento in prova al servizio sociale (vedi), la semilibertà (vedi), la detenzione domiciliare (vedi), la liberazione anticipata (vedi). Alcune di queste possono essere disposte in via provvisoria dal magistrato di sorveglianza, salva la successiva concessione in via definitiva da parte del Tribunale di Sorveglianza. Agli stranieri irregolarmente presenti in Italia, condannati e detenuti, è obbligatoriamente applicata – negli ultimi due anni di pena ed in presenza di reati non ostativi – l’espulsione come sanzione alternativa alla detenzione (vedi), come previsto dal 5° comma dell’art. 16 del Testo unico sull’immigrazione (Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286).
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Misure cautelari coercitive personali
Possono essere applicate a indagati o imputati per delitti la cui pena massima prevista sia superiore ai tre anni di reclusione, e solo se sussistono pericoli di fuga, o di inquinamento delle prove, o di commissione di nuovi delitti. Le misure cautelari coercitive personali sono: divieto di espatrio, obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria, allontanamento dalla casa familiare, divieto e obbligo di dimora, arresti domiciliari (vedi), custodia cautelare in carcere o in luogo di cura. Sono regolate dagli artt. 272-286 c.p.p. e, per quanto riguarda l’esecuzione e la durata dei provvedimenti, dagli artt. 291-308 c.p.p.-
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Misure di sicurezza
Sono disciplinate dagli articoli 199 e seguenti del codice penale. Le misure di sicurezza si applicano:
- alle persone considerate socialmente pericolose;
- in caso di commissione di un reato, o di un reato impossibile ai sensi dell’articolo 49 del codice penale, ovvero in caso di accordo o di istigazione a commettere un reato;
- quando si ritiene possano commettere nuovi fatti previsti dalla legge come reato.
Tali misure sono ordinate dal giudice nella sentenza di condanna. Hanno una funzione non solo di contenimento della pericolosità sociale, ma anche rieducativa, vale a dire tendono a favorire il reinserimento dell’individuo nel contesto sociale. Hanno una durata indeterminata: la legge fissa il termine minimo di durata e spetta poi al giudice valutare, alla scadenza del periodo, se la persona è ancora socialmente pericolosa. Le misure di sicurezza possono essere personali e limitare la libertà individuale (detentive e non detentive) oppure possono essere patrimoniali ed incidere soltanto sul patrimonio del soggetto (cauzione di buona condotta e confisca).
Le misure di sicurezza detentive sono:
- l'assegnazione a una colonia agricola o casa di lavoro (per i delinquenti abituali, professionali o per tendenza);
- il ricovero in una casa di cura e custodia (per i condannati a pena diminuita per infermità psichica o per intossicazione cronica da alcool e sostanze stupefacenti);
- il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (per gli imputati prosciolti per i motivi di cui sopra);
- il ricovero in riformatorio giudiziario per i minori. La Corte costituzionale (sentenza 324/1998) ha dichiarato costituzionalmente illegittima l'applicazione anche ai minori del ricovero in ospedale psichiatrico.
Le misure di sicurezza non detentive sono:
- la libertà vigilata (che implica l’obbligo di avere una stabile attività lavorativa o di cercarsene una, obbligo di ritirarsi a casa entro una certa ora);
- il divieto di soggiorno (in uno o più comuni ovvero in una o più province);
- il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcooliche;
- l'espulsione dello straniero dallo Stato(vedi)
Il magistrato di sorveglianza sovraintende all’esecuzione delle misure di sicurezza personali; accerta se l’interessato sia persona socialmente pericolosa; emette o revoca le dichiarazioni di tendenza a delinquere e di abitualità o professionalità nel reato. Contro tali provvedimenti possono proporre appello al Tribunale di sorveglianza il pubblico ministero, l’interessato o il difensore (artt. 679 e 680 codice procedura penale).
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Notificazione
È l'attività con la quale l'ufficiale giudiziario o altra persona specificamente indicata dalla legge (messo comunale, polizia giudiziaria, avvocato) porta formalmente un atto a conoscenza del destinatario, attraverso la consegna di una copia conforme all'originale dell'atto. Il destinatario, ricevuto l’atto, ne firmerà una copia per ricevuta (“relata di notifica”) che l’ufficiale giudiziario invierà all’autorità che l’ha emesso.
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Opg – Ospedale psichiatrico giudiziario
E’ una struttura dell’amministrazione penitenziaria dove vengono internati in misura di sicurezza (vedi) coloro i quali, giudicati colpevoli di reati la cui pena superi i due anni di reclusione, sono stati prosciolti per infermità mentale, per intossicazione cronica da alcool o stupefacenti o per sordomutismo (artt.148, 215 e 222 c.p.). Vi vengono anche ricoverati in osservazione per un mese, su richiesta del sanitario del carcere approvata dal magistrato di sorveglianza, i detenuti le cui condizioni e il cui comportamento possono richiedere un esame psichiatrico approfondito in una struttura specializzata. Trascorsi i trenta giorni e ricevuto l’esito degli accertamenti, il magistrato di sorveglianza dispone il ricovero ex art. 148 c.p., oppure il rientro del detenuto nell’istituto di provenienza (art. 111 e 112 legge D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, “Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario”). Gli ospedali psichiatrici giudiziari sono sei: Aversa (Caserta); Barcellona Pozzo di Gotto (Messina); Castiglione delle Stiviere (Mantova, l’unico per donne); Montelupo Fiorentino (Firenze); Napoli; Reggio Emilia.
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Patrocinio a spese dello Stato
E' l'intervento dello Stato in favore delle persone meno abbienti che hanno diritto al gratuito patrocinio (vedi) per il pagamento delle spese legali (avvocati, consulenti, investigatori autorizzati).
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Pena pecuniaria
Oltre ad essere una delle pene principali (si chiama multa per i delitti ed ammenda per le contravvenzioni), è anche una delle sanzioni sostitutive (vedi) di pene detentive brevi previste dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, “Depenalizzazione e modifiche al sistema penale”, artt. 53 e seguenti. Il giudice può concedere la conversione della reclusione in pena pecuniaria se la condanna ha comminato una pena detentiva inferiore a sei mesi. Per determinare l’ammontare della pena pecuniaria, il giudice individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato, tenendo conto della condizione economica complessiva del nucleo familiare dell’interessato, e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall’art. 135 c.p., cioè 250 euro, e non può superare di dieci volte tale ammontare. (La legge 15 luglio 2009, n. 94, “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, all’art. 3, c. 62, ha portato l’importo giornaliero da 38 a 250 euro). La conversione della reclusione in pena pecuniaria è competenza del giudice, non del magistrato di sorveglianza, al quale invece ci si deve rivolgere per chiedere, in caso di difficoltà economiche, la rateizzazione della pena pecuniaria (vedi). Qualora le difficoltà economiche non siano temporanee ma impediscano permanentemente il pagamento della pena pecuniaria, il magistrato di sorveglianza può disporne la conversione: in tal caso il condannato sconterà in regime di libertà controllata (o in altre forme di lavoro sostitutivo) tanti giorni quanti corrispondono all’entità della pena pecuniaria divisa per 250 euro. La pena pecuniaria va sempre pagata: può essere rateizzata o convertita in altra pena ma non rimessa (cioè eliminata). Non va confusa con le spese di giustizia (vedi) (processo e mantenimento in carcere), che possono non essere pagate chiedendo la remissione del debito (vedi)
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Pericolosità sociale
E’ socialmente pericolosa la persona che ha commesso reati, qualora sia probabile che ne commetta nuovamente (art.203c.p.). Una persona socialmente pericolosa può essere anche non imputabile o non punibile (per esempio nel caso di infermità mentale).
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Permessi detti “di necessità”
Sono regolati dall’art. 30 della legge 26 luglio 1975, n. 354, “Norme sull’ordinamento penitenziario”, il quale prevede che, nel caso di “imminente pericolo di vita” di un familiare o di un convivente, o – eccezionalmente – per eventi familiari di particolare gravità, ai condannati possa essere concesso il permesso di recarsi a visitare l’infermo, con le cautele previste dal regolamento (generalmente con scorta e piantonamento, effettuati con discrezione da agenti anche in borghese). La richiesta di permesso “di necessità” va inviata al magistrato di sorveglianza, possibilmente con la documentazione comprovante grado di parentela e gravità della malattia. L’Ufficio di sorveglianza richiede informazioni a conferma di quanto dichiarato nella domanda di permesso, e il magistrato dispone le prescrizioni. Se la condanna non è ancora definitiva, il permesso non va richiesto al magistrato di sorveglianza ma alle autorità giudiziarie a cui compete il procedimento. Contro i provvedimenti in materia di permessi è possibile presentare reclamo al Tribunale di Sorveglianza, entro24 ore dalla comunicazione dell’esito dell’istanza. Il ritardato rientro in carcere allo scadere del permesso viene punito in via disciplinare. Il mancato rientro configura il reato di evasione (art. 385 c.p.).
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Permessi premio
Sono regolati dall’art 30 ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, “Norme sull’ordinamento penitenziario”, il quale prevede che il magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell’istituto di pena, possa concederli ai detenuti che hanno tenuto una condotta regolare e che non siano socialmente pericolosi. La durata di ciascun permesso non può superare i quindici giorni; complessivamente, possono essere concessi quarantacinque giorni di permesso l’anno. Possono beneficiare dei permessi premio:
- i condannati con pena non superiore a tre anni;
- i condannati con pena superiore a tre anni dopo aver espiato almeno un quarto della pena (la metà, e comunque non più di dieci anni, nel caso di condannati per reati previsti dall’art. 4 bis)(vedi);
- i condannati all’ergastolo, dopo dieci anni. Limiti particolari vigono per i recidivi reiterati.
Contro il diniego di concedere un permesso premio, il detenuto può presentare reclamo al Tribunale di sorveglianza.
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Rateizzazione della pena pecuniaria
Nel caso di condanna a pena pecuniaria o di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria (vedi), qualora si presentino situazioni di insolvenza a causa dell’impossibilità temporanea di effettuare il pagamento, il condannato può chiedere il differimento o la rateizzazione del pagamento (art.660, 3°c, c.p.p.). Il magistrato di sorveglianza, valutate le condizioni economiche del condannato, può disporre che la pena pecuniaria sia pagata in non più di trenta rate mensili (art. 133 ter c.p.). La pena pecuniaria va sempre pagata: può essere convertita in libertà controllata o lavoro sostitutivo ma non può essere rimessa (cioè eliminata).
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Reclami
Il “diritto di reclamo” è previsto dall’art. 35 della legge 26 luglio 1975, n. 354, “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”. I detenuti possono rivolgere istanze e reclami, anche in busta chiusa, al direttore dell’istituto, al magistrato di sorveglianza, alle autorità in visita all’istituto, al presidente della Giunta regionale, al Presidente della Repubblica. In generale, i reclami contro i provvedimenti della direzione del carcere sono esaminati dal magistrato di sorveglianza e i reclami contro i provvedimenti del magistrato di sorveglianza sono esaminati dal Tribunale di sorveglianza. Oltre, vi è il ricorso per cassazione (vedi). Sono specificatamente elencati dalla legge sull’Ordinamento penitenziario i reclami che i detenuti o gli internati possono presentare contro alcuni specifici provvedimenti della direzione dell’istituto: quelli riguardanti il lavoro all’interno del carcere e gli addebiti disciplinari, che vanno presentati al magistrato di sorveglianza (art. 69 legge 354/1975); quelli riguardanti il regime di sorveglianza particolare in carcere, che devono essere presentati al Tribunale di sorveglianza (art. 14 ter legge 354/1975). Il detenuto può avanzare reclamo al magistrato di sorveglianza anche ove lamenti la lesione di proprio diritto da parte dell’Amministrazione penitenziaria. Il Tribunale di sorveglianza decide, come giudice di appello, sulle impugnazioni presentate contro le ordinanze dei magistrati di sorveglianza, in particolare contro le decisioni in materia di misure di sicurezza (art. 680 c.p.p.). Decide inoltre in sede di reclamo nei confronti dei provvedimenti adottati dai magistrati di sorveglianza in tema di permessi (art. 30 bis o.p.), liberazione anticipata (art. 69 bis o.p.), espulsione dallo Stato (art. 16 D. L.vo 25 luglio 1998, n. 286, “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”). In questi ultimi casi il reclamo va presentato al magistrato di sorveglianza, che ne curerà la trasmissione al Tribunale di sorveglianza.
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Remissione del debito
Nel caso il condannato o l’internato si trovi in condizioni economiche disagiate e abbia mantenuto una condotta regolare, sia in carcere sia in libertà, può chiedere la remissione del debito, cioè di non pagare le spese di giustizia (vedi), che sono le spese del procedimento giudiziario e del mantenimento in carcere. Solo per le spese del procedimento giudiziario e del mantenimento in carcere può essere chiesta la remissione, non per le pene pecuniarie o altri debiti. La remissione del debito va chiesta al magistrato di sorveglianza. E’ prevista dall’art. 6 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, “Testo unico in materia di spese di giustizia”, che ha sostituito l’art. 56 della legge 26 luglio 1975, n. 354, “Norme sull’ordinamento penitenziario”, ed è regolata dall’ art. 106 del D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, “Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario”.
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Riabilitazione
E’ un beneficio di legge (artt. 178 e seguenti del codice penale e art. 683 del codice procedura penale) che ha l’effetto di cancellare completamente gli effetti di una condanna penale. La riabilitazione è concessa dopo che sono decorsi almeno tre anni dal giorno in cui la pena è stata scontata (in carcere, o in misura alternativa, o estinta per indulto o altri benefici). Devono decorrere almeno otto anni nel caso di recidiva (art. 99 c.p.) e dieci anni in caso il condannato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza. Per ottenere la riabilitazione è necessario che il condannato, se è stato sottoposto a misura di sicurezza, ne abbia ottenuto la revoca, e che abbia adempiuto alle obbligazioni civili derivanti dal reato, cioè abbia risarcito il danno provocato. Il risarcimento del danno alle parti offese deve essere documentato, o documentati i tentativi effettuati per compierlo. In caso non vi siano, o non siano rintracciabili, le parti offese, il risarcimento può essere effettuato a beneficio di enti o associazioni socialmente utili, in qualche modo correlabili al danno causato. Inoltre, per ottenere la riabilitazione è di fondamentale importanza aver mantenuto una buona condotta per tutto il periodo considerato, non solo evitando ovviamente di compiere reati ma anche con un comportamento responsabile e con un impegno in attività socialmente utili. L’istanza di riabilitazione va presentata al Tribunale di sorveglianza, che decide collegialmente.
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Ricorso per cassazione
Contro le ordinanze del Tribunale di sorveglianza il pubblico ministero, l’interessato e, in determinati casi, l’amministrazione penitenziaria, possono proporre ricorso per cassazione, entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento verso il quale si intende ricorrere (art. 71 ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”). I motivi per i quali si può presentare ricorso sono stabiliti dall’art. 606 c.p.p. e riguardano principalmente, nel caso del Tribunale di sorveglianza, vizi di legittimità e vizi di motivazione nell’ordinanza.
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Rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena
L’esecuzione di una pena può essere rinviata (art. 147 c.p. e art. 684 c.p.p) nel caso che:
- sia stata presentata domanda di grazia;
- la persona condannata a pena restrittiva della libertà personale sia in condizioni di grave infermità fisica;
- la persona condannata a pena restrittiva della libertà personale sia madre di un figlio di età inferiore a tre anni.
(Vedi anche detenzione domiciliare).
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Rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena
L’esecuzione delle pene detentive, della semidetenzione e della libertà controllata deve essere rinviata (art.146c.p. e art.684 c.p.p) nel caso che il condannato sia:
- donna incinta;
- madre di figli di età inferiore a un anno;
- persona affetta da Aids o da altra malattia particolarmente grave, non compatibile con lo stato di detenzione in carcere, sempre che ricorra il requisito della “non rispondenza alle cure”.
(Vedi anche detenzione domiciliare).
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Sanzioni sostitutive
Le sanzioni sostitutive di pene detentive brevi sono state introdotte dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, “Depenalizzazione e modifiche al sistema penale”, artt. 53 e seguenti. Sono sanzioni che il giudice ha la facoltà di comminare, nella sentenza di condanna, al posto della detenzione, se di breve durata. La sostituzione della pena detentiva può essere chiesta anche dall’imputato o dal pubblico ministero (art.444c.p.p.). Il giudice può sostituire una pena inferiore ai due anni di reclusione con la semidetenzione (vedi). Può sostituire una pena inferiore a un anno di detenzione con la libertà controllata (vedi). Può sostituire una pena inferiore ai sei mesi di detenzione con una pena pecuniaria (vedi). Le sanzioni sostitutive non si possono applicare nel caso di particolari reati, previsti dall’art. 60 della legge 689/1981. Il magistrato di sorveglianza ha competenza sulla esecuzione delle misure sostitutive e sulla loro revoca nel caso il condannato non rispetti le prescrizioni assegnate. Non ha la competenza di comminare le sanzioni sostitutive al posto delle pene detentive, competenza questa del giudice della cognizione (il giudice che, attraverso il processo, è chiamato ad accertare i fatti e decidere con sentenza).
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Semidetenzione
E’ una delle sanzioni sostitutive (vedi) di pene detentive brevi previste dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, “Depenalizzazione e modifiche al sistema penale”, artt. 53 e seguenti (in particolare art.55). La semidetenzione può essere concessa dal giudice se la condanna commina un pena detentiva inferiore ai due anni. La semidetenzione comporta l’obbligo di trascorrere almeno dieci ore al giorno in appositi istituti o in apposite sezioni degli istituti di pena, situati nel comune di residenza del condannato o in un comune vicino. La semidetenzione comporta il divieto di detenere armi, munizioni ed esplosivi; la sospensione della patente di guida (a meno che non sia necessaria per lavorare); il ritiro del passaporto e di altri documenti validi per l’espatrio; l’obbligo di presentare a ogni richiesta delle forze dell’ordine l’ordinanza di concessione della semidetenzione, con le relative prescrizioni determinate dal magistrato di sorveglianza.
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Semilibertà
E’ una delle misure alternative alla detenzione (vedi) introdotte con la legge sull’ordinamento penitenziario del 26 luglio 1975 n. 354, che consentono al condannato di scontare fuori dal carcere la pena detentiva, o parte di essa, che gli è stata comminata. Il regime di semilibertà è regolato dagli artt. 48 e seguenti della legge 354/1975, e consiste nella concessione al condannato di trascorrere parte del giorno fuori del carcere per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al suo reinserimento sociale. Può essere ammesso alla semilibertà il detenuto che abbia espiato in carcere almeno metà della pena (anche meno di metà se la pena detentiva inflitta non supera i tre anni; due terzi della pena nel caso dei reati di particolare gravità elencati nell’art. 4 bis, 1° comma [vedi] della legge sull’ordinamento penitenziario; due terzi della pena in caso sia stata applicata la recidiva; tre quarti della pena in caso di recidiva per reati di particolare gravità). Il condannato all’ergastolo può usufruire della semilibertà dopo aver espiato venti anni di pena. Al detenuto con pena non superiore ai sei mesi la semilibertà può essere concessa (anche in via provvisoria, in caso di urgenza) qualora non vi siano i requisiti per la concessione di altre misure alternative. Il provvedimento di semilibertà è disposto dal Tribunale di sorveglianza e può essere revocato.
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Simeone-Saraceni (legge 165/1998)
La legge 27 maggio 1998, n. 165, detta “Legge Simeone-Saraceni”, ha reso più ampia e facile la concessione al condannato delle misure alternative alla detenzione in carcere, nella convinzione che la permanenza in carcere sia utile per certi tipi di condannati, inutile e forse dannosa per altri. E’ stato previsto che ove la sentenza di condanna sia inferiore ai tre anni di reclusione (sei per i tossicodipendenti o alcooldipendenti), il Pubblico Ministero debba sospendere l’esecuzione della pena, consentendo al condannato di richiedere al Tribunale di sorveglianza, entro trenta giorni, le misure alternative alla detenzione. Il Tribunale decide entro trenta giorni, valutando la pericolosità sociale del condannato e le condizioni oggettive (situazione familiare, abitazione adatta, lavoro, ecc.) che rendono applicabile la misura alternativa. Restano esclusi da tale beneficio i condannati per certi delitti (ad esempio quelli previsti dall’art. 4 bis della legge sull’Ordinamento penitenziario), coloro che si trovino in carcere, in custodia cautelare, al momento della sentenza, i recidivi reiterati, ovvero coloro che debbano espiare una pena più lunga. Inoltre la legge ha ampliato le condizioni personali che danno diritto alla concessione della detenzione domiciliare e della semilibertà e ha previsto l’aumento della dotazione di assistenti sociali e operatori dell’amministrazione penitenziaria. Le voci di questo glossario dedicate alla misure alternative tengono conto di quanto previsto dalla legge Simeone-Saraceni.
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Sospensione condizionale della pena
Se il giudice emette una condanna fino a due anni di reclusione, può sospenderne l’esecuzione. Se per cinque anni (o due in caso di contravvenzione) il condannato, libero, non commetterà altri reati, obbedirà agli obblighi impostigli e non riporterà altre condanne, il reato sarà estinto. In caso contrario la sospensione verrà revocata e la condanna dovrà essere eseguita (in carcere o in misura alternativa). In caso il condannato abbia meno di 18 anni, la sospensione condizionale può essere concessa anche in caso di pene fino a tre anni di reclusione. Se ha tra i 18 e i 21 anni, o ne ha più di 70, la pena detentiva che può essere sospesa non deve superare i due anni e sei mesi. (Artt. 163/168 Codice penale). La sospensione condizionale della pena può essere concessa se il giudice presume che il colpevole non commetterà ulteriori reati, se non vi sono precedenti condanne a pene detentive e se non sono state inflitte misure di sicurezza personale a causa della pericolosità sociale del condannato. La sospensione condizionale è regolata dagli articoli 163-168 del codice penale.
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Spese di giustizia
Sono le spese per il processo e per il mantenimento in carcere, che vengono addebitate al condannato. Possono essere rimesse (cioè eliminate) in caso il condannato si trovi in condizioni economiche disagevoli e abbia mantenuto una condotta corretta (vedi remissione del debito). La materia è regolata dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia”. Le spese di giustizia non vanno confuse con la pena pecuniaria (vedi), che invece permette di sostituire la detenzione in carcere con il pagamento di una somma di denaro.
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Stranieri
Vedi espulsione dello straniero a pena espiata e vedi espulsione dello straniero come sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione.
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Tossicodipendenza
Qualora una persona tossicodipendente o alcool dipendente sia stata condannata per reati connessi al proprio stato di dipendenza, debba espiare una pena detentiva (anche residua) non superiore a sei anni o a quattro se relativa a reati compresi dall’art. 4 bis (vedi) della legge 354/1975, e intenda sottoporsi a un programma terapeutico di recupero concordato con una unità sociale socio-sanitaria, può chiedere la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva (vedi) come previsto dall’art. 90 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”, oppure l’affidamento in prova al servizio sociale in casi particolari secondo quanto previsto dall’art. 94 della stessa legge e dall’art. 47 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, “Norme sull’ordinamento penitenziario”. La domanda di sospensione della pena detentiva va indirizzata al magistrato di sorveglianza allegando la certificazione dello stato di tossicodipendenza o alcool dipendenza (la quale deve includere anche l’indicazione delle modalità seguite per porre la diagnosi), il programma terapeutico e l’indicazione della struttura socio-sanitaria dove verrà effettuato. Il magistrato può, raccolte le necessarie informazioni, concedere la sospensione oppure no in via provvisoria, e poi, in ogni caso, trasmettere gli atti al Tribunale di sorveglianza per la decisione definitiva, che sarà presa entro quarantacinque giorni. Se il condannato, nei cinque anni successivi alla concessione della sospensione, non commette delitti punibili con la reclusione, vede estinta la sua pena. Con analoghe modalità può essere richiesto al magistrato di sorveglianza l’affidamento in prova in casi particolari. Tra le prescrizioni a cui l’affidato dovrà sottostare, vi saranno le modalità di esecuzione del programma terapeutico. Vi è inoltre la possibilità di richiedere la detenzione domiciliare (art. 47 ter legge 354/1975) (vedi) nel caso che la persona si trovi in condizioni di salute particolarmente gravi. Merita ricordare che con diversa procedura (non di competenza della magistratura di sorveglianza) possono essere concessi gli arresti domiciliari (vedi) alla persona tossicodipendente o alcooldipendente in custodia cautelare in carcere che abbia in corso un programma terapeutico residenziale di recupero (art. 89 del D.P.R. 9 ottobre 1990). Tale possibilità è esclusa nel caso dei reati previsti dall’art. 4 bis (vedi) e dagli artt. 628 3°c. e 629 2°c. del codice penale (rapina o estorsione, armate o in associazione con altri). Per le persone affette da Aids o da altra malattia particolarmente grave, non compatibile con lo stato di detenzione in carcere, vedi rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena.
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Tribunale di sorveglianza
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Uepe (ex Cassa)
Ufficio esecuzione penale esterna. Vedi l’apposita sezione in questo sito.
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Ufficio di sorveglianza
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